Temperaggio del cioccolato: le temperature

Doppia fila di cioccolatini su piano di metallo

Nel precedente articolo abbiamo visto come si comportano i grassi del burro di cacao, che si legano tra loro a formare vari tipi di cristalli, e le differenti caratteristiche di questi ultimi.

Alla luce di queste informazioni, è chiaro che in cioccolateria ciò che interessa ottenere è “sempre” un cioccolato che presenti colore lucido, croccantezza e snap alla rottura. Tutte queste caratteristiche sono proprie della forma V (cinque, o Beta) dei cristalli. Vi rimando all’articolo iniziale per i dettagli sulle varie temperature di scioglimento delle differenti forme dei cristalli. Ripartiamo però da una sintesi estrema che darà il via ai ragionamenti successivi.

Temperature di fusione

Dalla forma I alla forma VI, le temperature di fusione (quelle in cui i cristalli si sciolgono perdendo ogni legame fisico, e tornano ad essere libere le une dalle altre) sono sempre più alte. Si parte dalla forma I, che fonde attorno ai 17 gradi, salendo di qualche grado per ogni tipo di cristallo. Arrivati alla forma IV la temperatura di fusione è di 27 gradi. Salendo ancora, la forma V (quella di nostro interesse) ha la fusione attorno ai 33 gradi. Esiste anche la forma VI, che fonde a 36 gradi centigradi. Un dettaglio importante da ricordare è che la forma VI non si può ottenere direttamente, ma solo tramite riposo di alcuni mesi di cioccolato ben temperato: ciò la elimina dal problema del temperaggio, non essendo comunque presente nel cioccolato fuso che si andrà a lavorare.

Con queste informazioni, si possono già iniziare a fare i primi ragionamenti teorici su come ottenere un cioccolato che cristallizzi nella forma V, la migliore per i nostri obiettivi.

Sapendo che questi cristalli “sopravvivono” senza sciogliersi fino ai 33 gradi, e che gli altri polimorfismi sciolgono al massimo attorno ai 27 gradi (forma IV, le altre a temperature inferiori), potremmo semplicemente pensare di sciogliere completamente il cioccolato… diciamo a 45 gradi o 50 gradi, assicurandoci quindi che nessun tipo di cristallo sia sopravvissuto. A questo punto, potremmo abbassare la temperatura a 31 gradi: qui la forma V è stabile, non si scioglie (fonde a 33), mentre è troppo caldo per la forma IV.

Problema risolto?

Abbiamo temperato il cioccolato, ottenendo solo cristalli V, lasciandolo lentamente solidificare a 31 gradi. Quindi il problema è risolto, vero?

E invece no. Peccato, il ragionamento era giusto. La forma V è un tipo di cristallo molto complesso, dove numerosi legami fisici si devono creare per dare grande stabilità a questa rete di molecole grasse. Ciò comporta un dettaglio molto importante al fine del temperaggio del cioccolato: i cristalli V non si formano spontaneamente, soprattutto a temperature oltre i 30 gradi. Cristallizzano però a temperature più basse, assieme ai cristalli III e IV (rispettivamente sotto i 25 e 27 gradi). Eventualmente ci si può spingere anche a temperature più basse, otterremo semplicemente anche i II assieme ai III, IV e V (22 gradi vi ricorda qualcosa?). Ciò vuol dire che il nostro cioccolato presenterà un mix di forme differenti, non sarà quindi temperato. Dovrebbe infatti contenere solo cristalli V…

Ora che, scendendo di più con la temperatura, siamo riusciti ad ottenere anche, ma non solo, cristalli V (invisibili, beninteso: il cioccolato è più denso ma ancora sciolto, non una barretta…), come rimuovere gli indesiderati polimorfismi III e IV? Qui ci viene nuovamente in aiuto la temperatura, ed il ragionamento espresso poco più su: se i IV sciolgono a 27 e i V sciolgono a 33, scaldo tutto a 31 e mantengo solo i cristalli che mi interessano! Evviva! Ecco ottenuto il procedimento corretto per temperare il cioccolato, e la motivazione che giustifica il fatto che ci abbiano sempre insegnato uno yo-yo di temperature:

Sali a 45°, scendi a 27°, sali a 31°

E perché? Beh, adesso se non lo sapevate lo sapete.

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