Temperaggio del cioccolato: approfondimenti

Negli scorsi articoli abbiamo studiato le basi del temperaggio del cioccolato e in che modo le temperature regolano la cristallizzazione.

Fin qui tutto bello e interessante, ma c’è parecchia carne sul fuoco da poter aggiungere (o fava di cacao da tostare, che rimaniamo in tema!). Andiamo allora a rimettere insieme i pezzi e identificare dei punti fissi che ci possono aiutare a migliorare il nostro processo di temperaggio.

Le migliori condizioni per la formazione dei cristalli V

Si è appurato, in decenni (e più) di pratica, che la forma V si forma con maggiore facilità, rendendo più facile il lavoro di temperaggio, quando si raggiungono determinate condizioni ideali, e in particolare:

  • la temperatura è corretta (pari a quella della copresenza di forme IV)
  • il tempo di raggiungimento della temperatura target è rapido (quindi si raffredda velocemente il cioccolato fuso verso i 25 gradi)
  • c’è movimento nel cioccolato (ciò fa “urtare” le molecole facilitandone l’aggregazione).

Questo trio formato da temperatura, tempo e movimento forma la base del temperaggio.

Cristallizzazione del cioccolato per inseminazione

A partire da piccoli nuclei di cristallizzazione presenti in un cioccolato fuso, i grassi che lo compongono si disporranno in forma organizzata, adattandosi alle geometrie (e alle tensioni fisico-chimiche) dei cristalli già presenti. È come se questi piccoli nuclei dessero il La al resto della struttura in modo da stimolare un’organizzazione “di massa”. Ciò vuol dire che, avendo un innesco di tipo V, ovvero questa minima distribuzione di nuclei di cristallizzazione dispersi nella massa liquida, il cioccolato consoliderà tutto, nel tempo, mantenendo questa struttura.

Il concetto di questo tipo di aggregazione in cristalli si può capire sperimentalmente con la tecnica per creare i cristalli di zucchero: se noi creiamo uno sciroppo saturo, sciogliendo acqua e saccarosio, otterremo un fluido molto denso. Inserendo un bastoncino intinto nello zucchero in questo sciroppo, e lasciando riposare, in qualche tempo troveremo dei grossi cristalli che si saranno formati attorno a quei nuclei già formati, da noi inseriti.

Come mantenere il cioccolato fluido in tempera

Il cioccolato già correttamente innescato di cristalli V, mantenuto attorno ai 30 gradi, tenderà comunque nel tempo a diventare pastoso, quasi come una crema spalmabile, a causa di una cristallizzazione massiccia in forma V.

Dei piccoli colpi di caldo possono aiutare a sciogliere una parte di questi cristalli, pur mantenendo in tempera il cioccolato, per consentire la giusta fluidità per la lavorazione. Infatti i cristalli, una volta presenti, continuano a espandersi e consolidarsi attraverso l’intera massa lavorata. I colpi di caldo ridurranno il numero totale di cristalli, senza però eliminarli tutti – a patto di non salire troppo con la temperatura – lasciando un sufficiente numero di cristalli di innesco per poter ri-cristallizzare il resto della massa.

Adattare le temperature di temperaggio al cioccolato al latte e bianco

Tutti i ragionamenti fatti fino ad ora sulle temperature di fusione si riferiscono mediamente al cioccolato fondente. Qualunque cioccolato differente, che oltre ai grassi del burro di cacao presenta altri elementi (grassi del latte, per esempio), ha temperature di fusione più basse. Questo perché nel reticolo cristallino si interpongono molecole differenti, che rendono meno stabile la struttura, che necessita quindi di meno energia esterna per rompersi. È come se ci fossero impurità che rendono meno coese le molecole di burro di cacao. Per questo, le temperature di fusione dei cioccolati al latte è di circa 1 o 2 gradi inferiore a quella dei fondenti, e i cioccolati bianchi richiedono ancora meno calore.

Introduzione al temperaggio dei cremini

Con la stessa logica si possono temperare i cremini: miscele di cioccolato e olii, che risultano cremose a temperatura ambiente. Avendo grandi quantità di olii differenti inseriti in struttura, la temperatura di temperaggio scenderà drasticamente, anche attorno ai 25 gradi, anziché 31.

Cosa succede se si scalda troppo il cioccolato?

Scaldare troppo il cioccolato rispetto alla temperatura di fusione di ogni tipo di cristallo può causare due problemi.

  1. Il primo problema è anche quello più semplice da rilevare: bruciare il cioccolato. Va evitato a tutti i costi.
  2. Il secondo è la separazione della fase oleosa da quella solida, con un velo di olio (burro di cacao sciolto) che galleggia su una parte scura (la massa di cacao).

Purtroppo, in entrambi i casi, la soluzione è una: cestinare la materia prima che è stata rovinata e ripartire. Ecco perché non ha senso spingersi a 50 gradi centigradi e oltre: si aumentano i rischi senza ottenere alcun miglioramento sul prodotto finale. Il cioccolato è già sufficientemente sciolto prima!

Una risposta a “Temperaggio del cioccolato: approfondimenti”

  1. Molto interessante la cristallizzazione [un problema se si lavora al Mare )
    Sono la titolare di una piccola azienda a Sorrento
    Elena De Siero

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