Iniziamo oggi una serie di articoli su un mondo enorme, quello del cioccolato. Probabilmente l’obiettivo finale di molti di voi che leggono sarà quello di fare delle belle decorazioni, o dei cioccolatini, oppure, perché no, delle uova di Pasqua.
Per poter arrivare alla parte pratica, è importante avere una serie di nozioni (su cui poi altri, più formati sull’argomento, potranno approfondire entrando nei tecnicismi): ciò serve per capire la logica dei passaggi che verranno fatti durante la lavorazione, e per ottenere autonomia e consapevolezza nella propria gestione.
In questo articolo vedremo cosa è il cioccolato, dal punto di vista chimico-fisico, e quali sono le strutture che lo costituiscono (i famosissimi cristalli). Ciò aprirà le porte a tutti i ragionamenti successivi.
Fatta questa doverosa premessa, iniziamo!
Definizione (e spiegazione semplificata)
Il cioccolato è una miscela di una fase idrofila, composta da zucchero e solidi del cacao, dispersa in una matrice lipidica ricca di burro di cacao.
Tradotto: lo zucchero si scioglie molto bene in acqua, ma per niente bene nei grassi. Olii, burro di cacao, burro, sono tutti “lipidi”, grassi. Immaginate di versare dello zucchero molto fine nel burro: non si scioglierà facilmente, ma si troverà distribuito in tutto il panetto. Più o meno è quello che succede nel cioccolato: lo zucchero e altre sostanze sono sparse all’interno di un “panetto” di burro di cacao.
Polimorfismo del cioccolato
Concentriamoci prevalentemente sulla componente del burro di cacao (la parte “grassa”): le molecole che lo compongono sono delle lunghe catene, che si legano tra loro in molte maniere. La composizione chimica rimane quindi sempre la stessa, ma la forma fisica (cioè la distribuzione nello spazio di queste catene) può variare.
In dettaglio, il burro di cacao è costituito principalmente da trigliceridi composti da acido palmitico (27%), acido stearico (34%), entrambi grassi saturi, e acido oleico (34%), monoinsaturo. (Vi allego uno schema della forma generica di un trigliceride).Possiamo visualizzare le molecole di burro di cacao come lunghi filamenti; a temperature elevate questi scorrono liberamente gli uni sugli altri, mentre quando la temperatura inizia a scendere, tra di loro si formano dei legami che intrappolano questi filamenti in strutture complesse: i filamenti non sono più liberi di scivolare ma assumono una forma rigida nello spazio. Si parla in questo caso di cristallizzazione.
Sono principalmente la temperatura e la velocità con cui questa cambia a determinare il tipo di legami, più o meno stabili, e la forma dei cristalli che verranno creati. La struttura cristallina che il cioccolato presenta in un determinato momento determina le proprietà macroscopiche e la percezione sensoriale della materia prima.
Negli anni sono stati condotti numerosi studi per analizzare i vari tipi di legame che si possono instaurare nel cioccolato, e quindi classificare le tipologie di strutture cristalline, principalmente tramite cristallografia a raggi X. Sono state quindi scoperte varie differenti forme cristalline possibili per il cioccolato, il quale può manifestarne anche più di una contemporaneamente.
Questa caratteristica di avere medesima composizione chimica, ma possibile diversa struttura fisica, si chiama polimorfismo.
La cosa bella, è che ad oggi sappiamo come ottenere le varie forme, in modo da poter selezionare le caratteristiche che più ci interessano nel prodotto finito.
Caratteristiche generali dei polimorfismi
I diversi stati cristallini sono classificati in 6 tipi.
Come abbiamo detto, possiamo immaginare la fase lipidica come dei filamenti “disorganizzati” che si muovono liberamente, e che iniziano a incollarsi tra loro. In base a come si legano, formano i vari stati cristallini. Più i legami sono deboli e poco organizzati, più basso è il numero della classificazione. Ovviamente, avere dei legami deboli vuol dire che con “poca energia” esterna si potranno rompere, rendendo i filamenti nuovamente liberi.In altre parole: più si sale con il tipo di cristallo, più la temperatura di fusione sarà elevata e i legami saranno complessi e organizzati. Seconda caratteristica dei cristalli: più sono complessi i legami, più le molecole sono impacchettate tra loro. Una struttura più organizzata occupa meno spazio, diventa più densa (occupa meno volume a pari peso). Immaginate di avere 500 pezzi LEGO buttati in una scatola, oppure gli stessi 500 pezzi incastrati a gruppi di 4, oppure ancora gli stessi 500 pezzi tutti perfettamente attaccati tra loro senza spazi vuoti.
Più si sale con le forme (polimorfismi) più i nostri mattoncini sono ravvicinati e impacchettati, e quindi meno spazio occupano. Questa è la motivazione della ritrazione del cioccolato correttamente lavorato, che raffreddandosi occupa meno spazio ed esce facilmente dagli stampi.
La “geometria” dell’impacchettamento può essere visualizzata in un’immagine allegata: senza entrare nella rappresentazione tecnica, è interessante notare la “contrazione” del burro di cacao al progredire delle forme.
Classificazione e caratteristiche individuali delle forme
Forma I (Gamma)
Temperatura di fusione attorno a 17 gradi. Si ottiene per grande shock termico, mettendo ad esempio il cioccolato perfettamente fuso in freezer o abbattitore. Cioccolato morbido e friabile, con notevole affioramento di burro di cacao (macchie bianche sulla superficie)
Forma II (Alfa)
Temperatura di fusione attorno a 23 gradi. Si ottiene con un raffreddamento molto rapido del cioccolato fuso, con un abbassamento di 2 gradi al minuto della temperatura. I cristalli di forma I sono instabili, e dopo un periodo di stoccaggio del prodotto a temperatura negativa, anche questi si trasformano in cristalli di forma II. Il cioccolato in forma II è morbido, friabile, con affioramento di burro di cacao.
Forma III (Beta’)
Temperatura di fusione attorno ai 25,5 gradi. Si ottiene raffreddando il cioccolato a una temperatura di circa 10 gradi. I cristalli in forma II si trasformano in forma III dopo un periodo di stoccaggio del prodotto a temperatura positiva. Il cioccolato è meno morbido, ma si rompe facilmente, senza opporre resistenza e causare lo “snap”. Persistono evidenti affioramenti di burro di cacao.
Forma IV (Beta’)
Temperatura di fusione attorno ai 27 gradi. Si ottiene lasciando raffreddare il cioccolato a temperatura ambiente. I cristalli di forma III si trasformano in forma IV quando il prodotto viene stoccato attorno ai 20 gradi. Il cioccolato ha la consistenza simile a quella che conosciamo, classica, ma si rompe ancora in maniera morbida, senza “snap”, e con un modesto affioramento di burro di cacao.
Forma V (Beta)
Temperatura di fusione attorno ai 33 gradi. Si ottiene tramite un corretto temperaggio, combinando movimento e gestione delle temperature. Il cioccolato si presenta lucido, si rompe con uno snap, senza affioramenti di burro di cacao. È la forma desiderata per l’utilizzo del cioccolato.
Forma VI (Beta)
Temperatura di fusione attorno ai 36 gradi. Non si può produrre a partire da cioccolato fuso. Si forma dopo almeno 4 mesi di riposo del cioccolato temperato. Il suo alto punto di fusione la rende poco scioglievole al palato, dura, e con alcuni affioramenti di burro di cacao.
Conclusioni
Questo articolo è, consapevolmente, piuttosto didascalico. È però il trampolino di lancio per parlare di tecniche e lavorazione del cioccolato, e fondamentale per capire i passaggi più pratici.
Già dalla descrizione delle varie forme, infatti, si può intuire il processo di temperaggio… di cui vi lascio un rapido grafico, per stuzzicare i ragionamenti sulle varie temperature di lavorazione, e le motivazioni tecniche che le giustificano!
[…] Nel precedente articolo abbiamo visto come si comportano i grassi del burro di cacao, che si legano tra loro a formare vari tipi di cristalli, e le differenti caratteristiche di questi ultimi. […]
[…] scorsi articoli abbiamo studiato le basi del temperaggio del cioccolato e in che modo le temperature regolano la […]