Leggendo di lievito madre ci sono due concetti che tornano spesso, che si incontrano e si scontrano, e che spesso e volentieri ci portano a fare confusione: si tratta di acidità e di acidificazione.
Sembrerebbero simili e intercambiabili, in qualche modo, ma in realtà nascondono delle sottili differenze che all’atto pratico fanno una differenza enorme nel modo in cui dovremmo analizzare le problematiche relative ai prodotti lievitati.
Proviamo a tracciare i confini di applicabilità di questi concetti.
Cosa si intende per “acidità”?
L’acidità di un impasto è determinata dalla quantità di acidi che essa contiene. Gli acidi sono molecole con caratteristiche chimiche peculiari, i cui effetti possono essere quantificati per mezzo di un pHmetro, ovvero uno strumento studiato per misurare il pH di una soluzione.
In modo abbastanza semplificato diciamo che in base al valore del pH una soluzione è detta neutra (pH attorno a 7, dove l’effetto delle sostanze acide è controbilanciato da quello delle sostanze basiche), acida (pH inferiore a 7, gli acidi prevalgono sulle basi) o basica (le basi prevalgono sugli acidi).
Quanto più una soluzione è acida, tanto più il suo pH sarà basso. Potremmo quindi collegare l’acidità di un impasto al suo pH. Se siamo in grado di misurare questo pH possiamo caratterizzare in modo rigoroso la sua acidità.
Cosa si intende per “acidificazione”?
L’acidificazione di un impasto è il nome che diamo al processo di inacidimento che lo coinvolge, ovvero l’aumento della sua acidità nel tempo. Si tratta perciò di un concetto dinamico, che prende in considerazione anche il parametro tempo.
Possiamo parlare di acidificazione nulla se l’acidità rimane costante, o di acidificazione più o meno elevata in base a quanto velocemente l’acidità aumenta nel tempo.
Esempio 1
Prendiamo ad esempio un lasso di tempo di 3 ore.
Due impasti differenti, A e B, a pari acidità iniziale, poniamo a pH 5,5.
Se alla fine delle 3 ore l’impasto A è a pH 4,2 mentre l’impasto B è a pH 3,6 possiamo dire che l’impasto B acidifica più velocemente dell’impasto A, in quanto nello stesso lasso di tempo la sua acidità è aumentata maggiormente rispetto all’altro impasto (quindi il pH è diminuito).
Esempio 2
Facciamo un altro esempio, sempre sulle 3 ore.
Due impasti differenti, A e B, a diversa acidità iniziale, poniamo a pH 6,1 per A e pH 5,5 per B.
Se alla fine delle 3 ore entrambi gli impasti sono a pH 4,2 possiamo dire che l’impasto A acidifica più velocemente dell’impasto B.
Definiamo le differenze tra acidità e acidificazione in un impasto
Scientificamente parlando, quindi, acidità e acidificazione rappresentano due concetti molto diversi. Sicuramente collegati, ma non sostituibili l’uno con l’altro.
In particolare, potremmo dire che il concetto di l’acidificazione corrisponde alla derivata prima della curva ottenuta misurando l’acidità nel tempo. L’acidità è un valore puntuale, istantaneo, mentre l’acidificazione è un valore dinamico, i cui effetti vanno osservati nel tempo.
Analizzando i due esempi di sopra possiamo notare una differenza fondamentale: più acidità non implica più acidificazione, così come più acidificazione non implica più acidità.
Nell’Esempio 1 infatti due impasti con stessa acidità hanno mostrato acidificazione differente.
Nell’Esempio 2 invece l’impasto con acidità iniziale maggiore ha mostrato un’acidificazione inferiore, e viceversa.
Riassumendo
Padroneggiare termini e concetti in modo corretto è fondamentale, sia per capire sia per farsi capire. Spesso quando si analizzano gli impasti dal punto di vista delle acidità si fa molta confusione. Per ovviare al problema, in questo breve articolo abbiamo analizzato in dettaglio acidità e acidificazione e abbiamo messo in luce il loro vero significato, tracciandone i confini per un corretto utilizzo.
Grazie per questo prezioso contributo.
“Padroneggiare termini e concetti in modo corretto” è ormai merce rara. Tutto viene approssimato, con la conseguenza che tutto se ne va in confusione.
Quindi ancora un grazie per aver messo questi paletti e precisato i concetti.
Buona giornata! 🙂
Mi viene da riflettere ! Se il mio pane all assaggio ha un gusto agre, può essere per diversi motivi ,
1 LM lattico
2 acidificato durante la puntata per fattori esterni ,temperatura ,tempi prolungati .
Ho sempre incolpato il mio Licoli ,devo ricredermi?.
Grazie mille. Per me è sempre un piacere sapere di star facendo la cosa giusta!
Ciao Daniele. Non ho capito bene il concetto dell’esempio 2.
Se l’impasto A ha acidità 6,1 e il B 5,5, se in 3 ore entrambi arrivano ad acidità 4,2 ; non acidifica più velocemente l’impasto A avendo acidità di partenza passami il termine che gira più sul neutro?
Ciao Roberto, sì è esattamente come dici tu. C’è un refuso nel testo, manca una A. Dovrebbe essere “possiamo dire che l’impasto A acidifica più velocemente dell’impasto B.” invece che “possiamo dire che l’impasto acidifica più velocemente dell’impasto B.”
Grazie per la segnalazione 🙂
[…] l’idratazione dell’impasto possiamo agire su due fattori: la velocità di acidificazione e di conseguenza la selezione dei microrganismi di cui si favorisce la replicazione. Usando una […]
Ciao, finalmente trovo articoli sensati e interessanti. Se volessi agire sull’acidificazione di un impasto per per poter ottenere una più ampia alveolatura quale sarebbe il procedimento da eseguire? Uso il caldo, il freddo, il tempo prolungato a prescindere dalle temperature oppure tempo prolungato correlato alle temperature? Uso per esempio un lievito madre o un licoli avanti dopo l’ultimo rinfresco? Vorrei solo capirci definitivamente qualcosa. Grazie Roberto
Se vuoi agire sull’ “acidificazione”, ovvero massimizzare la velocità di produzione di acido, quello che devi fare è gestire il lievito nelle condizioni ideali per spingere sul metabolismo del microbiota. Motivo per cui generalmente i rinfreschi preparatori si fanno con inoculo 1:1 oppure 1:1,5 e a temperature tra i 28 e i 30°C.